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Il caso ENI e la svolta giurisdizionale della Cassazione: le Sezioni Unite riconoscono la giurisdizione italiana nella climate change litigation

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Di Guido Foglia & Roberta Ezechia

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Pubblicato 29 July 2025

Panoramica

Con l’ordinanza n. 13085 del 21 luglio 2025, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione si sono pronunciate su un ricorso per regolamento di giurisdizione promosso da Greenpeace O.n.l.u.s., ReCommon A.p.s. e da alcuni cittadini contro ENI S.p.A., il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. parallelamente ad un procedimento pendente dinanzi al Tribunale di Roma, iscritto al n. 26468/2023 R.G., nel corso del quale erano stati sollevati dalle società convenute dei dubbi in merito alla sussistenza della giurisdizione del autorità ordinaria nazionale.

Rammentiamo, infatti, che Greenpeace (ed altri soggetti interessati) aveva incardinato un’azione dinanzi al Tribunale di Roma per far accertare l’inottemperanza dell'ENI e dello Stato Italiano agli obblighi in materia di contrasto al cambiamento climatico ed ottnere da quest'ultime il risarcimento dei conseguenti danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla collettività.

 

1. Le eccezioni sollevate dai convenuti

I resistenti avevano sollevato una serie di eccezioni preliminari di natura processuale, di cui le principali erano:

  • il difetto assoluto di giurisdizione, con riferimento al ruolo riservato allo Stato-legislatore nelle politiche ambientali;
  • il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana, stante l'incidenza transnazionale del danno allegato;
  • il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, che avrebbe dovuto essere sostituito, secondo i convenuti, da quello amministrativo.

A fronte di tali eccezioni, pendente il giudizio ordinario, gli attori hanno proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, chiedendo alla Corte di dichiarare la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario italiano.

 

2. L’ammissibilità del regolamento

La Corte di Cassazione ha innanzitutto ritenuto ammissibile il regolamento di giurisdizione, sebbene fosse stato proposto dagli stessi ricorrenti che avevano avviato il giudizio di merito. L’elemento che ha giustificato tale ammissibilità è duplice:

  • da un lato, il ragionevole dubbio insorto circa i limiti esterni della giurisdizione in casi di simile complessità;
  • dall’altro, la novità assoluta delle questioni trattate, che non trovano precedenti consolidati nella giurisprudenza di legittimità.

 

3. Il precedente a confronto e la sussistenza della giurisdizione

La Corte è giunta ad affermare la sussistenza della giursdizione dell'Autorità giudiziaria nazionale poiché ha sottolineato che il presente giudizio si configura come una "comune" azione di responsabilità civile, incentrata sulla lesione del diritto alla vita e alla vita privata e familiare, e che il compito del giudice sarà limitato a verificare se le fonti richiamate dai ricorrenti su cui si fondano le domande impongano un dovere d'intervento a carico dei convenuti, tale da configurarsi una responsabilità extracontrattuale degli stessi. Sulla scorta di ciò, non viene individuata alcuna invasione della sfera legislativa o amministrativa, né motivo per dichiarare il difetto assoluto di giurisdizione.

La Corte ha inoltre stabilito la sussistenza della giurisdizione dell'Autorità giudiziara italiana ponendo il presente caso a confronto con un precedente giudizio, sempre promosso da Greenpeace e ReCommon, avente ad oggetto l’inadempimento dello Stato ai propri doveri di protezione e prevenzione in materia climatica, ove però era stato dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione. In tale precedente, l'azione era stata indirizzata nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e si sostanziava nella richiesta di un intervento legislativo o amministrativo, giudicato non sindacabile dal giudice ordinario.

Nel caso odierno, invece, non solo la domanda degli attori è chiaramente di natura risarcitoria extracontrattuale (ex artt. 2043, 2050, 2051 e 2058 c.c.), fondata sull’inerzia di ENI nel ridurre le emissioni climalteranti, in violazione degli obblighi internazionali (come quelli sanciti dall’Accordo di Parigi), ma il MEF e la CDP sono stati convenuti in quanto azionisti di riferimento di ENI, ritenuti corresponsabili delle strategie aziendali non conformi agli obiettivi climatici internazionali, e non nella loro veste pubblicistica.

 

4. Sull'ulteriore eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice italiano

Un’ulteriore eccezione sollevata dai resistenti riguardava il difetto di giurisdizione del giudice italiano in relazione a danni verificatisi all’estero. Tuttavia, la Cassazione ha osservato che:

  • la responsabilità fatta valere è della società controllante (ENI) con sede in Italia, per le strategie adottate a livello di gruppo;
  • le condotte contestate si sono materialmente verificate in Italia, essendo frutto di decisioni assunte dagli organi societari della capogruppo;
  • anche il danno iniziale (secondo la nozione autonoma accolta dalla Corte di giustizia UE) si è concretizzato nel luogo di residenza degli attori, ossia in Italia.

Pertanto, ai sensi degli artt. 4(1) e 7(2) del Regolamento (UE) n. 1215/2012, è correttamente radicata la giurisdizione italiana, sia con riferimento al luogo del fatto generatore, sia al luogo della manifestazione del danno.

 

5. Commenti finali

Con questa pronuncia, dunque, le Sezioni Unite riconoscono la possibilità per i privati di agire contro società partecipate pubbliche e consolidano la funzione del giudice ordinario come garante dei diritti fondamentali in contesti globali e complessi, come quello della transizione ecologica.

Inoltre, l'ordinanza in commento si inserisce nel solco della climate change litigation internazionale, ma rappresenta una novità assoluta nel panorama giuridico italiano in quanto risulta essere il primo precedente emesso dalla Suprema Corte riunita a Sezioni Unite su un'azione avente ad oggetto i danni derivanti da patiche che possono provocare un climate change e fornisce già di per sé alcune indicazioni estremamente rilevanti e di cui si dovrà tenere conto in diversi ambiti (anche e principalmente assicurativi), tra i quali:

  1. le domande avanzate nella c.d. climate change litigation vengono fatte rientrare nell'ambito della responsabilità extra-contrattuale
  2. viene riconosciuta una responsabilità che non solo si riferisce al soggetto giuridico direttamente coinvolto da pratiche che possono avere un impatto negativo sul clima, ma anche i suoi soci e in ultima analisi lo Stato
  3. viene tratteggiata la possibilità del riconoscimento di una nuova tipologia di responsabilità in capo agli esponenti aziendali dei soggetti giuridici convenuti in pratiche che possono avere un impatto negativo sul clima.

 

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